Omaggio a Judith Malina

L'utopia del Living

di Franco Quadri

(la Repubblica 10 novembre 1995)

L'anno prossimo Judith Malina compirà settant'anni; e ne sono passati quasi cinquanta da quando con Julian Beck fondò il Living Theatre, gruppo unico nella storia del teatro per la sua durata, al quale continua a dedicare anche oggi tutte le sue energie. "Sono un po' stanca", confessa, anche se non lo dimostra, "mi piacerebbe lavorare solo sei mesi all'anno, e rimanere sempre in un posto fisso, ma è così difficile". E infatti non smette di girare, ora per qualche tempo in Italia, con gli altri compagni, cosmopoliti come sempre, tra cui si vede spuntare qualche veterano, come Tom Walker e Cathy Marchand... Ma quest'anno al suo teatro è successo un miracolo: la ripresa degli storici Mysteries, che pure festeggiava un anniversario, già a partire da New York dove le repliche sono state prolungate di un mese, ha attirato una quantità inattesa o gioiosa di nuovi spettatori. Dappertutto un successo strepitoso ha provato la forza sconvolgente e contagiosa di questo esempio di spettacolo astratto, come se la rivoluzione, formale oltre che politica, proposta nel '64, raccogliendo esercizi di lavoro della compagnia, esaltando la coralità, coniugando il mantra con la fantasia del gesto, valesse più che mai per un pubblico giovane, sempre curioso di un altro tipo di teatro. È stata proprio questa svolta a suggerire alla grande anche se maiuscola donna-regista e a Hanon Heznikov, che con lei oggi guida il Living e ha scritto i testi, il nuovo lavoro dal titolo programmatico di Utopia. Ed è stata un'altra esperienza destinata a un vasto consenso, come s' è visto al debutto a Longiano e poi - a causa dell'improvvisa inagibilità della sala fiorentina dove il gruppo era scritturato - nelle recite improvvisate a Roma, al Centro Sociale del Porto Prenestino, denso di folla, di applausi, di fumo, di grida, e poi al Leoncavallo di Milano dove resterà fino a stasera. Eppure è solo un piccolo lavoro elementare che si diverte a immaginare un sogno nel quale si realizzano i nostri desideri e possiamo essere quello che vogliamo, mostrandoci anche i limiti in cui siamo imprigionati, perché come disse Paul Goodman "quando chiamano qualcosa Utopia, significa che non vogliono lasciartela fare". In una specie di esercitazione didattica prima di tutto si superano le barriere sceniche, con gli attori che scendono a inseguire le loro lune luminose tra la gente, regalando i loro occhiali gialli o rosa per vedere diverso, e interrogano una o l'altra sfruttando l'interazione, inventando lì per lì situazioni e nuovi slogan, mentre semplici riti inducono alla comunicazione. Con l'aiuto di alcuni volontari viene anche montata una favola utopistica: il finale del Racconto d'inverno di Shakespeare, dove s'immagina che un morto risusciti. In una serie di stazioni la compagnia svolge una serie di teli di seta dai colori sempre diversi, come il passo della loro danza. Ma già dall'inizio la magia, più che alla semplicità delle parole, era affidata alla libertà dei loro movimenti e al gioco delle composizioni dei corpi. E quando alla fine invocano le ali, non si può non ricordare una frase famosa di Beck: "La recitazione del Living è solo un gesto esitante, un'implicazione di ulteriori sviluppi, come se le braccia potessero diventare ali, le gambe pinne, i corpi qualcosa di non ancora sognato. Qualcos'altro". Perché questo è l'Utopia che ha coinvolto negli anni tante esistenze: il loro teatro.

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