Mimmo Cuticchio per Pan Ubu

Pensieri sparsi ma non dispersi


Il poeta dice che “anche il silenzio è musica”.
È vero. Ma questo vale quando, tra una nota e l’altra, un segno grafico nello spartito indica una pausa che rappresenta un preciso momento di silenzio.
Oggi, a causa del Coronavirus, le strade e le piazze sono “piene” di “vuoto”. L’alternanza è perfetta, seppure i due aggettivi indichino due estremi opposti.

L’infinito è come l’universo, che di per sé non ha limiti. Un tempo, quando si guardava l’orizzonte, si tracciava il limite estremo del visibile. Oltre c’era l’invisibile, raggiungibile solo con l’immaginazione e tuttavia inimmaginabile. L’infinito è qualcosa che sta oltre l’orizzonte, oltrepassarlo significherebbe superarsi, andare verso l’infinito di noi stessi, oltre noi stessi.
Occorrerebbe recuperare la parola “utopia”, immaginare che ci possa essere altro, col rischio di scoprire realmente il vuoto o forse anche il nulla.

Omero, con i suoi racconti, ha toccato i nostri sentimenti non solo con il significato della parola ma anche con il significante, narrandoci storie e leggende che conservano tuttora una luce vivida e sono ancora in grado di svelarci l’enigma del nostro domani. Iliade e Odissea: l’uno è il racconto della guerra di Troia, l’altro è il ritorno di Ulisse a Itaca. Il primo descrive l’infuriare di duelli e battaglie, il secondo il ristabilimento dell’ordine. Entrambi tratteggiano, con incredibile precisione, la condizione umana: la guerra e il viaggio. Non sono argomenti attualissimi?

Guardare e vedere. Ascoltare e udire.
Questo dobbiamo continuare a fare: quando non riusciamo a osservare e ascoltare, aiutiamoci scrivendo. La scrittura è sempre stata nostra amica e alleata.
Anna Frank, dalla sua forzata segregazione, ci ha fatto capire che da uno spiraglio possiamo intravedere la bellezza. Ciascuno di noi può soffrire di solitudine anche stando in compagnia o essere solo ma sentirsi in compagnia.

Il nuovo nemico è invisibile e si chiama Coronavirus, ad oggi non conosciamo nessuna arma per combatterlo se non quella del distanziamento sociale.
Credo che sia arrivato il tempo di riflettere su quanto abbiamo costruito dal secondo dopoguerra in poi e ricominciare a valorizzare tecniche e saperi del passato.

Gli artisti, i poeti di oggi, non devono più pensare ai grandi eventi, ai tir carichi di mastodontiche scenografie. Chi vive ed opera nel teatro deve convincersi che l’arte appartiene alla Poesia e la Poesia è un atto d’amore che, come tale, si dà senza pretendere nulla in cambio.
La condizione dell’attore è analoga a quella di un pescatore o di un contadino: finché ci sarà il mare avremo il pesce, finché ci sarà la terra avremo i suoi frutti.
Questa consapevolezza ci impone di rivedere i nostri stili di vita, i nostri criteri di giudizio, i valori su cui fondiamo le nostre scelte. Tutto è connesso all’amore e allo sguardo su di noi e sugli altri.
A fermare il Teatro, la Musica, le Arti e la catena infinita di relazioni professionali e umane ad essi connesse, non saranno la cancellazione di stagioni, di festival, di eventi speciali, di spettacoli. Paradossalmente, questo cambiamento potrebbe diventare un’opportunità per comprendere ciò per cui vale la pena fare teatro e per condurci ad una profonda revisione dei nostri modelli culturali, per una crescita di tutto il settore.
Gli artisti continueranno in qualche modo ad esprimersi e, finalmente, quando potranno ripartire, godranno della bellezza del teatro essenziale. Ognuno, con la propria forma espressiva, darà il meglio di sé e ancora una volta sarà fonte di ispirazione per sé e per chi ha voglia di seguirlo.

Desidero concludere queste mie sparse riflessioni con il finale di una poesia di Eugenio Montale, da Ossi di seppiaNoi non sappiamo quale sortiremo, vv. 24-28).

…E un giorno queste parole senza rumore
che teco educammo nutrite
di stanchezze e di silenzi,
parranno a un fraterno cuore
sapide di sale greco.

Grazie e buona vita a tutti

Mimmo Cuticchio
Palermo 20 aprile 2020



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